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Vaccino anti-Covid: il datore di lavoro può imporlo e, in caso di rifiuto, licenziare il lavoratore?

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I parametri normativi di riferimento sono anzitutto l’art. 32 della Costituzione e l’art. 2087 del codice civile.

L’art. 32 della Costituzione prevede che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge».

L’art. 2087 cod. civ. impegna il datore di lavoro ad «adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro».

Per altro verso, l’articolo 20 del Testo Unico sulla sicurezza negli ambienti di lavoro (d. lgs. n. 81/2008) testualmente recita: “Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioniconformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”. Pertanto, le direttive impartite dal datore di lavoro in materia di sicurezza e igiene dell’ambiente di lavoro, se ragionevoli, contribuiscono a determinare il contenuto dell’obbligazione contrattuale del dipendente.

L’altra norma direttamente rilevante in questa materia è l’articolo 279 dello stesso Testo Unico, che prevede in modo più specifico l’obbligo per l’imprenditore di richiedere la vaccinazione del dipendente. La previsione è riferita al rischio di infezione derivante da un “agente biologico presente nella lavorazione”; tuttavia, è ragionevole ritenere che lo stesso obbligo gravi sull’imprenditore per la prevenzione di un rischio di infezione derivante da un virus altamente contagioso, come il Covid-19.

Allora, si può ritenere che non aderire alla direttiva del datore possa costituire una violazione di tali obblighi, cioè un inadempimento passibile di licenziamento per giusta causa?

La valutazione dell’inadempimento non può essere condotta una volta per tutte ed in astratto, come pretenderebbe chi formula la facile equazione fra rifiuto della vaccinazione e licenziamento.

Il giudizio sull’inadempimento non può che essere condotto sul piano del singolo rapporto; è un giudizio che va individualizzato.

Ed allora la personalizzazione della valutazione dell’inadempimento non può che condurci ad operare importanti distinzioni fra rapporto e rapporto e fra ambiente ed ambiente.

È indispensabile personalizzare gli inadempimenti in relazione ai contesti lavorativi nell’ambito dei quali si verificano.

Ne deve conseguire che legittimamente un ospedale o una casa di cura privata possono pretendere la vaccinazione da medici ed infermieri, anche perché sarebbero esposti a responsabilità risarcitoria nei confronti di chi, ricoverato per curarsi, abbia contratto il virus in conseguenza di un comportamento inadempiente di un dipendente. È evidente, con riferimento a tali specifici rapporti, che la protezione della salute degli assistiti è proprio l’oggetto della prestazione richiesta agli addetti del settore. In qualche modo la tutela della salute altrui entra nella “causa” del contratto.

Resta la questione della sanzione applicabile al comportamento deviante del lavoratore.

Il licenziamento, come si sa, presuppone o un “notevole inadempimento degli obblighi contrattuali” (giustificato motivo soggettivo) o, addirittura, una “causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto” (giusta causa).

Anche nelle situazioni appena descritte non è detto che la più corretta reazione datoriale debba essere considerato il licenziamento.

Intanto potrebbe esservi per il datore l’opzione di adibire il lavoratore, che abbia scelto di non vaccinarsi, a posizioni compatibili (o meno incompatibili) con tale scelta, in attuazione del suo potere direttivo. Quindi, il dipendente che rifiuta il vaccino costituisce un pericolo per sé e per gli altri e può essere allontanato.

Se ciò non fosse possibile, se cioè in azienda non ci fossero altre mansioni equivalenti o anche inferiori, allora il rifiuto a vaccinarsi costituirebbe “un impedimento oggettivo alla prosecuzione del rapporto di lavoro”  che giustificherebbe il licenziamento.

La tutela della salute collettiva PREVALE sulla libertà di scelta del singolo.

L’articolo 32 della Costituzione, difatti, non si ritiene violato se la scelta di non curarsi determina un pericolo per la salute altrui, e questa è la posizione sostenuta da moltissimi giuristi italiani.

La soluzione del problema non è affatto né semplice né immediata, ma è sottoposta ad una lunga serie di valutazioni intermedie che mettono in discussione sia il potere di imporre la vaccinazione che quello di disporre necessariamente il licenziamento all’inadempiente.

Certo, in una situazione di tale incertezza e su una materia così delicata, sarebbe auspicabile che intervenisse il legislatore, ma norme chiare e precise sul punto specifico per ora mancano.

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